Gerry Scotti: «”Io canto”, io scrivo, io rivivo la mia storia»

Il presentatore riporta su Canale 5 la storica competizione per giovani voci. E pubblica il suo primo (bel) libro "Che cosa vi siete persi"

7 Novembre 2023 alle 08:09

Nel calendario televisivo di Gerry Scotti non ci sono pause: quiz, show e talent, uno dopo l’altro, senza interruzioni dall’autunno all’estate. E dal 22 novembre, in prima serata su Canale 5, torna a condurre, dopo dieci anni, “Io Canto” ora ribattezzato “Io Canto Generation”. Le 4 star chiamate a giudicare i ragazzi sono Claudio Amendola, Orietta Berti, Al Bano e Michelle Hunziker.

E una bella sorpresa è in arrivo: per Natale uscirà "Gerry Christmas", un disco di canzoni natalizie.

“Io Canto” dieci anni dopo. Qui una pausa c’è stata: di riflessione o di ripensamento?
«All’epoca in tv andava molto quel genere di programmi, allora lo facevano bambini anche piccoli. Io stesso non ero convinto di andare avanti in quel modo. Chiamiamola una pausa necessaria».

“Generation” sta per...
«Una volta per passare da una generazione all’altra ci volevano 25 anni, ora è tutto più veloce, in dieci anni sono cambiati il mondo, la società e le nostre giornate».

Che cosa vedremo e non rivedremo?
«Ora ci sono ragazzi dai 10 ai 14 anni, non più bambini. Resterà la gara: anche se lo chiamiamo un gioco c’è sempre il momento doloroso dell’eliminazione, però se i ragazzi vogliono fare questo mestiere nella vita di porte in faccia ne prenderanno tante. Oltre alla giuria ci sono sei capisquadra: Iva Zanicchi, Fausto Leali, Anna Tatangelo, Mietta, Cristina Scuccia e Benedetta Caretta».

I ragazzi del 2023 in cosa sono diversi dal passato?
«Sono molto sicuri, il mezzo televisivo non li preoccupa. Non so se siano i video che si fanno coi telefonini o le famiglie che li riprendono per l’esibizione a una festa o su un palco di paese, ma sanno come atteggiarsi e dove girare lo sguardo».

In tv vale il detto: «Nulla si crea, nulla si distrugge»?
«Proprio nulla! È uno dei settori dove provare a fare gli iconoclasti, a distruggere, non serve. Da quando la tv è nata c’è sempre stata la gara di canto, dal Festival di Sanremo allo Zecchino d’Oro e a “Canzonissima”, lo stesso per il quiz e il varietà: cambiano solo la forma e gli interpreti».

Per i corsi e ricorsi della tv tra poco tornerà pure “La ruota della fortuna”.
«Confermo. Stiamo lavorando alla realizzazione di “La ruota della fortuna” per le prossime festività. Tanti anni fa mi avevano proposto di farla su Odeon Tv, poi mi chiamò Mediaset e ho avuto un’altra carriera».

Nella sua carriera ora può annoverare pure “Che cosa vi siete persi”, il suo primo libro.
«È stata una delle prove più dure della mia vita, un’esperienza formativa. Ho iniziato a scriverlo a maggio nel camerino di “Striscia la notizia”, ho finito a settembre in quello di “Caduta libera”».

Lo definisce «Un libro di oggetti smarriti» e «Un modesto diario di un ragazzo di campagna».
«Pensavo di fare un viaggio nei miei ricordi partendo dagli oggetti che non ci sono più o che non usiamo più. Ho unito le due cose: è la storia di un povero ragazzo di campagna che finisce nella periferia milanese. È la mia vita prima di diventare il Gerry Scotti che conoscete».

È più faticoso ricordare o scrivere?
«Di notte mi venivano in mente dei passaggi o degli oggetti, mi svegliavo e li registravo sul telefonino per paura di non ricordarmene. La mattina dopo, quando mi alzavo, li scrivevo. Ho scritto tutto sul telefonino con il dito indice della mano destra, sono veramente un “boomer” (i nati tra il 1946 e il 1964, ndr), anche se ho più di un milione di follower su TikTok».

Ricordi in ordine sparso: la Gilera Giubileo 150.
«Era la moto del mio papà. Avere la moto è sempre stato il mio sogno, poi a 14 anni ho avuto il motorino Ciao, il primo oggetto che mi ha fatto venir voglia di scrivere questo libro. Nel mio box c’è un Ciao uguale a quello che avevo da ragazzo, la mattina quando esco e la sera quando torno lo vedo lì in fondo».

Quella volta che si nascose sotto il letto per la vergogna.
«Avevo registrato la mia voce con il “Gelosino”, un apparecchio con il nastro e il microfono. Prima o poi dovrò chiedere a uno psichiatra: “Scusi, ma cosa è stato quel senso di vergogna nel riascoltare la mia voce, io che proprio con la voce ho fatto tutto nella vita?”».

La prima partita a San Siro con suo padre.
«Andammo da piazzale Corvetto a piazzale Lodi con il tram, poi con la filovia: avevo i pantaloni corti, arrivai con le gambe viola dal freddo. Ho scritto questo capitolo nei giorni in cui di San Siro si diceva: “Lo buttiamo giù”. Ora forse non lo butteranno giù, per fortuna: è uno dei miei ricordi più belli».

Adriano Celentano alla messa della domenica.
«Da bambino andavo alle giostre nel quartiere delle Varesine, la domenica quando mancava un quarto d’ora alla messa di mezzogiorno passava questo eccentrico personaggio vestito bicolore con una moglie meravigliosa e noi bambini tutti dietro e tutti in chiesa, sembrava la messa di Natale. Quando usciva sembrava voltarsi verso via Gluck, ma ormai non abitava più lì».

Ai ragazzi di “Io Canto Generation” che cosa vorrebbe ricordare di quello che si sono persi?
«A loro dedicherei il capitolo dei “giochi perduti”: noi ci accontentavamo di un elastico, un pallone sgonfio, una biglia, un gessetto, a 18 anni io ancora giocavo a dame e cavalieri per dare un bacio a una ragazza. Questa generazione è più pronta e sveglia di noi, ma i ragazzi si sono persi tante cose».

Seguici